14 novembre 2008

Eluana

Eluana per me fino a qualche mese fa non esisteva, nemmeno come parola, troppo brutta per essere un nome, troppo strana per essere voce del verbo eludere.
Poi, un giorno, i media mi raccontano una storia. Una cronaca di leggi, naturali e dello stato, di autorità disputate, di sfide teologiche e filosofiche. Un sovrapporsi di voci di giornalisti, politici, preti a cui mai avrei voluto aggiungere la mia.
Questa mattina, poi, guidando tra notiziari che tentavano di scrivere una parola fine a questa vicenda, improvvisamente ho deciso che invece la mia la voglio dire.
Troppe persone in questa vicenda hanno la Verità in tasca e nessun pudore a svelarla. 
Io no, ma ho una richiesta. A questi personaggi, soprattutto ai politici o a chi si prende la responsabilità di creare barriere all'esecuzione di un provvedimento giudiziario, chiederei un mese di silenzio, traduzione del sempre valido consiglio di contare almeno fino a 100 prima di parlare. Non un mese arido però; che sia fecondo di esperienze.
Invece di portare acqua in Duomo come suggerisce il direttore di un quotidiano,  nelle prossime settimane  suggerirei a questi signori di girare per ospedali in cerca delle molte situazioni simili a quella di Eluana. 
Di sperimentare, conoscere, vivere con cadenza quotidiana i drammi che si sentono autorizzati a dibattere. 
Di amare le figlie dei padri e i padri delle figlie, per un solo mese, nell'ospedale più vicino, nell'orario più agevole. 
Tutti i giorni in quel mese per esporsi non a quel sacrificio (visitare una figlia ammalata porterebbe un padre negli abissi e oltre), ma a quel dolore. Affacciarsi al precipizio di una vita senza scintilla, o meglio, senza anima, se anche loro come me si affidano a un credo.
Trenta giorni con cadenza quotidiana.
Basterebbero ad alleggerire il mondo da tante parole per far più spazio all'amore.

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