20 settembre 2010

Se un ferro da stiro preso in discarica vale un arresto

Il post di oggi non è mio, ma di Sara Brachetti, redattrice de l'Ordine, che è stata capace di commuovermi.
Grazie Sara, qualche giorno dopo la pubblicazione, ti presento ai miei amici.


Oleksij sapeva che stava rubando.
Aveva atteso che calasse un po’ di buio per passare inosservato agli altri almeno, se a se stesso non riusciva e non poteva. 
Cinquantaquattro anni e così ridotto dalla miseria e dalla solitudine, lontano dalla terra che ti fa sentire a casa anche se non offre futuro e ti costringe a emigrare per cercare la fortuna che deve star per forza altrove. E invece si finisce giù in discarica, ad adocchiare un ferro per stirare i panni, a tentare di portarlo via con la vergogna di chi non se lo può permettere, ché gli spiccioli in avanzo servono a campare, mica agli sfizi: e la camicia ben in ordine è un di più, non necessità. Quando lunedì è arrivata l’auto dei carabinieri, lui ancora lì in via Santa Maria, sguardo colpevole e mortificato, s’è sentito uno sciocco, incapace pure di commettere un furto spinto dal bisogno; inetto alla vita e alle regole del mondo e da esso dunque punito giustamente, ha riflettuto in fretta, mentre lo portavano via in manette.
L’aveva visto il sindaco, mica uno qualunque, il primo cittadino di Turate e segretario del presidente provinciale, mentre con modi circospetti si aggirava nei dintorni della piattaforma: e poco gli è importato che non fosse fare criminale ma imbarazzo, desiderio di sbrigarsela al più presto e rimanere persona perbene.
Cristiano Banfi ha contattato la caserma, perché intervenisse contro quel pover uomo: ma così non l’ha chiamato con pietà, per lui era solo un ladro, giacché se si comincia a far distinguo tutti restano impuniti e in paese cresce il caos. 
Così Oleksij Anikitoi, nazionalità ucraina, è finito dietro le sbarre in attesa di processo, guardato a vista da due militari che poi l’hanno accompagnato in tribunale, a raccontare al giudice il suo misfatto. Furto aggravato la sua accusa, alla stregua di chi qualche giorno prima, in chiesa a Novedrate, s’era portato via il reliquiario, una croce di valore in oro e rame con i resti di Santo Carpoforo: e anche se la legge a lui aveva aggiunto un aggettivo, quel “tentato” merito non suo ma
dei carabinieri che l’avevano fermato, restava l’onta uguale, e i due mesi di condanna.
“Materiale ferroso” l’hanno definito i militari con superficialità sospetta, ad accrescere il peso di un
fatto invece misero, che pretendeva non indulgenza ma buonsenso.
Olekseij, che s’è rassegnato alla gravità della sua colpa senza opporre scuse, neppure s’era reso conto che quel ferro con cui voleva farsi presentabile al mattino nemmeno funzionava, un aggeggio da buttare non per il capriccio di sostituirlo con l’ultimo modello e più efficiente, ma perché irrimediabilmente fuori uso.
Castigato senza sconti per la sua povertà che l’ha spinto a rinunciare alla dignità, dai carabinieri che non si sono fatti bastare la denuncia ma hanno deciso per l’arresto; trattato, con le parole e gli atti ufficiali, al pari di un membro di un’organizzazione criminale che ruba per rivendere, non per indigenza: lui ha subito senza protestare, troppo grezzo per fare differenze. 
Avesse intuito invece tutto questo, lui così ingenuo da infilarsi sotto il braccio nient’altro che un rottame, avrebbe allora pensato di aver sbagliato avverbio sulle prime, e che la giustizia
non è poi sempre così giusta come immaginava.

1 settembre 2010

Matteotti chi?

Il consigliere regionale Gianluca Rinaldin ha paragonato Dell'Utri a  Matteotti: «Oggi come allora è mancata la democrazia».
Detto che è impossibile che parli di Giacomo Matteotti, che fu rapito e ucciso da squadristi per le sue denunce del fascismo cerchiamo di capire chi sia il vero termine di paragone.
Marcello Matteotti (Palermo11 settembre 1901) . Stretto collaboratore di Benito Mussolini sin dagli anni trenta, socio nel Popolo d'Italia  e dirigente de Fasci Italiani di combattimento nel 1921 fondò con lui il partito nazionale fascista. È stato condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso dopo che un suo pizzino intercetttato dimostrò le sue proficue fequentazioni con Toto O'Breve, Carmelo O'Nimale e Ciccio lu Squartatore. Sembra che a dispetto degli amici potenti la moglie gli impedisse di parlare.
PierSilvio Matteotti (Palermo11 settembre 1931) . Stretto collaboratore di Giulio Andreotti  sin dagli anni cinquanta, socio nella Banca Privata Italiana di Michele Sindona ha patteggiato la pena di due anni e tre mesi di reclusione per false fatture e frode fiscale nell'ambito della gestione di una rivendita di arancini.  Denunciato da pentiti organizzò un complotto con falsi penti che a loro volta denunciarono pentiti veri che però parlavano di falsi denuncianti gli fu impedito di parlare dalla Corte d'Appello mentre cercava alla lavagna di spiegare le sue denunce.
Pierino Matteotti (Palermo11 settembre 1981) . Stretto collaboratore di 'omissis' sin dai primi anni del nuovo secolo, socio in un lido del Lario  è sotto processo per intrecci tra finanza e camorra non meglio chiariti. Bocciato due volte alla maturità gli fu impedito di parlare quando presentatosi per la terza volta basò la sua tesi su cinque diari manoscritti presumibilmente da Benito Mussolini dove si testimoniava  che il Duce in realtà fosse un mite asceta e le leggi razziali fossero state promulgate da un agente provocatore del KGB amico di Hitler che voleva eliminare dalla scacchiera degli statisti mondiali l'unico suo vero contendente. Attualmente Pierino ha fondato una corrente di Forza Italia, i liberaldemocattolicissimi che però sono una minoranza interna del partito. c