Cori razzisti al Palasampietro? Pur sapendo di correre un rischio incredibile, quello di banalizzare e sminuire una vicenda che invece potrebbe richiedere analisi più attente di quelle di un cronista sportivo, posso affermare che il problema non esiste.
Lo dico con una certa cognizione di causa perché ho assistito alla posa delle fondamenta del più bel palazzetto della provincia e ci ho passato le mie migliori giornate imparando lo sport e l’amicizia. Sotto quegli imponenti archi di legno ho conosciuto alcune tra le migliori persone che frequento, di quegli spogliatoi conosco ogni piastrella, secondo in questo forse soltanto a mio padre che ne ha fatto una seconda casa.
Mi spiego meglio. Raccontano le cronache, di cui purtroppo non sono testimone oculare, di una quindicina di tifosi che alla fine della partita tra Comense e Geas Sesto, giocata nel palazzetto delle nerostellate mercoledì sera e valevole per il primo turno dei play-off, abbiano insultato con epiteti razziali la giocatrice italiana di colore Abiola Wabara. La ragazza in questione, dicono abbia reagito alla provocazione guadagnandosi altri insulti e forse anche uno sputo prima di tornare negli spogliatoi. Questa e la cronaca e non la vogliamo mettere in discussione.
Ma se la notizia poi diventa (come su un quotidiano nazionale) “Como, la cestista è di colore: fora de ball” allora ci tocca protestare.
Cosa sara successo mai? All’improvviso senza nessuna avvisaglia il Palasampietro è diventato un covo di razzisti? Non credo proprio.
Contestualizziamo l’episodio.
Un derby cestistico, una gara importante agonisticamente, un gruppetto di ultras verosimilmente mai presenti al Palasampietro, ma importati dalla curva del Calcio Como di cui sfoggiano uno striscione ed eccitati dalla gara di cartello. Aggiungiamo una giocatrice molto muscolare capace di focalizzare la frustrazione dei tifosi poco incline a lasciarsi insultare passivamente.
Esplode così un battibecco, con un’atleta che non ha paura di far valere le proprie ragioni contro quattro energumeni abbaianti e decide, forse un po’ a sproposito, di affrontare a muso duro i provocatori.
Una decina di imbecilli? Un gesto incivile? Assolutamente sì, ma non troppo diverso dai tanti che si vedono nelle strutture sportive, soprattutto, ma purtroppo non soltanto, in quelle dove si gioca a calcio e che non risparmiano nemmeno il mondo dello sport giovanile. Non sarà un caso che l’osservatorio del ministero dell’interno che sorveglia gli episodi di violenza negli stadi voglia vietare la trasferta dei lariani in quel di Cremona.
Quindi? Dobbiamo rassegnarci e tollerare? Assolutamente no. Forse però conviene allontanarci di un passo ed inquadrare il problema nella sua interezza, non soltanto un dettaglio che non descrive che in minima parte ciò che e veramente accaduto.
Stiamo parlando del fenomeno ultras e la storia ventennale della struttura dice che il Palasampietro ne è quasi totalmente immune.
Di quello sì, posso essere testimone oculare. I pochi eccessi che si sono visti su quelle gradinate sono stati prontamente stigmatizzati e messi sotto controllo da chi vive quel palazzo che ha visto giocarsi finali di scudetto e partite di coppe europee al calora bianco. I tifosi organizzati sono sempre stati un tutt’uno con la societa eccedendo più nell’affetto verso le ragazze che non nei gesti di violenza. Di ognuno di loro potrei dire il nome ed il cognome, o forse il soprannome e nessuno si è mai fatto notare se non per qualche insulto di troppo nei confronti della terna arbitrale, ma finché non avremo anche arbitri di colore questi non faranno notizia e verranno tranquillamente metabolizzati nel folclore sportivo.
Con questo non voglio affermare che dire a qualcuno “negro di merda” equivalga a dargli dello stronzo, e nemmeno mi sfugge che ad essere insultata sia stata l’italiana di colore e non una giocatrice americana come se ne vedono ogni giorno. Eppure credo che questa sottile distinzione tra l’essere (di colore) e l’appartenere (a una razza) sia più visibile ai lettori di un quotidiano che non a questi frustrati del mercoledì sera che al massimo del giornale faranno un cappello.
A loro dico che il Palasampietro è casa mia (e di molti altri che non tollerano discriminazioni) e non sono ospito graditi.
Se la Comense avra la fortuna di giocarci ancora quest’anno (vorrà dire che si e qualificata al turno successivo) sarò presente e pronto ad invitare ad allontanarsi chiunque provi soltanto a rinnovare qualsiasi tipo di insulto razzista. Non servirà coraggio per farlo perché sono sicuro che il 99 percento di chi sarà sulle poltroncine gialle e rosse di Casnate sarà con me, dal presidente Pennestri all’ultimo arrivato tra i tifosi della Comense. “Fora de ball” lo dirò a loro perché nel palazzetto della Comense non hanno diritto di cittadinanza.
Chi grida allo scandalo non avrà cosi braci su cui soffiare dando spazio ai pochissimi imbecilli (repetita iuvant) che non trovando niente di meglio da fare hanno provato ad infiltrarsi tra i tifosi della più titolata squadra di pallacanestro femminile italiana.
A Wabara invece va un abbraccio e l’augurio che possa ritrovare la serenità che permette a una professionista di valore di ignorare gli insulti di una curva. A lei rinnoviamo l’invito di Oscar Wilde: “Mai discutere con un’idiota. Prima ti porta al suo livello e poi ti batte con l’esperienza”.
Lo dico con una certa cognizione di causa perché ho assistito alla posa delle fondamenta del più bel palazzetto della provincia e ci ho passato le mie migliori giornate imparando lo sport e l’amicizia. Sotto quegli imponenti archi di legno ho conosciuto alcune tra le migliori persone che frequento, di quegli spogliatoi conosco ogni piastrella, secondo in questo forse soltanto a mio padre che ne ha fatto una seconda casa.
Mi spiego meglio. Raccontano le cronache, di cui purtroppo non sono testimone oculare, di una quindicina di tifosi che alla fine della partita tra Comense e Geas Sesto, giocata nel palazzetto delle nerostellate mercoledì sera e valevole per il primo turno dei play-off, abbiano insultato con epiteti razziali la giocatrice italiana di colore Abiola Wabara. La ragazza in questione, dicono abbia reagito alla provocazione guadagnandosi altri insulti e forse anche uno sputo prima di tornare negli spogliatoi. Questa e la cronaca e non la vogliamo mettere in discussione.
Ma se la notizia poi diventa (come su un quotidiano nazionale) “Como, la cestista è di colore: fora de ball” allora ci tocca protestare.
Cosa sara successo mai? All’improvviso senza nessuna avvisaglia il Palasampietro è diventato un covo di razzisti? Non credo proprio.
Contestualizziamo l’episodio.
Un derby cestistico, una gara importante agonisticamente, un gruppetto di ultras verosimilmente mai presenti al Palasampietro, ma importati dalla curva del Calcio Como di cui sfoggiano uno striscione ed eccitati dalla gara di cartello. Aggiungiamo una giocatrice molto muscolare capace di focalizzare la frustrazione dei tifosi poco incline a lasciarsi insultare passivamente.
Esplode così un battibecco, con un’atleta che non ha paura di far valere le proprie ragioni contro quattro energumeni abbaianti e decide, forse un po’ a sproposito, di affrontare a muso duro i provocatori.
Una decina di imbecilli? Un gesto incivile? Assolutamente sì, ma non troppo diverso dai tanti che si vedono nelle strutture sportive, soprattutto, ma purtroppo non soltanto, in quelle dove si gioca a calcio e che non risparmiano nemmeno il mondo dello sport giovanile. Non sarà un caso che l’osservatorio del ministero dell’interno che sorveglia gli episodi di violenza negli stadi voglia vietare la trasferta dei lariani in quel di Cremona.
Quindi? Dobbiamo rassegnarci e tollerare? Assolutamente no. Forse però conviene allontanarci di un passo ed inquadrare il problema nella sua interezza, non soltanto un dettaglio che non descrive che in minima parte ciò che e veramente accaduto.
Stiamo parlando del fenomeno ultras e la storia ventennale della struttura dice che il Palasampietro ne è quasi totalmente immune.
Di quello sì, posso essere testimone oculare. I pochi eccessi che si sono visti su quelle gradinate sono stati prontamente stigmatizzati e messi sotto controllo da chi vive quel palazzo che ha visto giocarsi finali di scudetto e partite di coppe europee al calora bianco. I tifosi organizzati sono sempre stati un tutt’uno con la societa eccedendo più nell’affetto verso le ragazze che non nei gesti di violenza. Di ognuno di loro potrei dire il nome ed il cognome, o forse il soprannome e nessuno si è mai fatto notare se non per qualche insulto di troppo nei confronti della terna arbitrale, ma finché non avremo anche arbitri di colore questi non faranno notizia e verranno tranquillamente metabolizzati nel folclore sportivo.
Con questo non voglio affermare che dire a qualcuno “negro di merda” equivalga a dargli dello stronzo, e nemmeno mi sfugge che ad essere insultata sia stata l’italiana di colore e non una giocatrice americana come se ne vedono ogni giorno. Eppure credo che questa sottile distinzione tra l’essere (di colore) e l’appartenere (a una razza) sia più visibile ai lettori di un quotidiano che non a questi frustrati del mercoledì sera che al massimo del giornale faranno un cappello.
A loro dico che il Palasampietro è casa mia (e di molti altri che non tollerano discriminazioni) e non sono ospito graditi.
Se la Comense avra la fortuna di giocarci ancora quest’anno (vorrà dire che si e qualificata al turno successivo) sarò presente e pronto ad invitare ad allontanarsi chiunque provi soltanto a rinnovare qualsiasi tipo di insulto razzista. Non servirà coraggio per farlo perché sono sicuro che il 99 percento di chi sarà sulle poltroncine gialle e rosse di Casnate sarà con me, dal presidente Pennestri all’ultimo arrivato tra i tifosi della Comense. “Fora de ball” lo dirò a loro perché nel palazzetto della Comense non hanno diritto di cittadinanza.
Chi grida allo scandalo non avrà cosi braci su cui soffiare dando spazio ai pochissimi imbecilli (repetita iuvant) che non trovando niente di meglio da fare hanno provato ad infiltrarsi tra i tifosi della più titolata squadra di pallacanestro femminile italiana.
A Wabara invece va un abbraccio e l’augurio che possa ritrovare la serenità che permette a una professionista di valore di ignorare gli insulti di una curva. A lei rinnoviamo l’invito di Oscar Wilde: “Mai discutere con un’idiota. Prima ti porta al suo livello e poi ti batte con l’esperienza”.
2 commenti:
questo mi piace! Così va bene...fuori l'ipocrisia, e questo ti fa onore.
Solo 2 cosette in ordine sparso...
intanto, i tifosi della Comense c'entrano assai poco se non nulla (non erano tifosi della Comense, pare fossero canturini incazzati dalla presenza della Geas, che è una squadra praticamente di Milano-
milanesi-canturini come è noto si odiano; nonché i soliti ultras degli stadi). In proposito, il comunicato congiunto eagles-ultras como, incredibile nella sua contraddittorietà, è la perfetta coda di paglia che prende fuoco.
Si sa bene che nel basket femminile queste cose appaiono raramente.
Accadono anche qui da noi e ti cito un esempio: serie D maschile, partitella di ragazzi Dinamo2000-Nuoro, i nuoresi in trasferta (una novantina) hanno detto "negro" ad un ragazzo senegalese che avrà un 17 anni. Sassari non è razzista, Como non è razzista, resta il fatto
che "certe" curve sono un problema.
Iniziamo a fare uno sforzo tutti insieme per democratizzare il tifo, cacciare i pochi violenti e far sì che il basket non faccia la fine del calcio. Ci vuole poco !
saluto
Ciao, a qualche giorno di distanza, visualizzati i filmati e sentiti i testimoni la cosa ha preso addirittura un'altra piega.
Sembra che sia stata montata ad arte grazie a una buona stampa della Geas e come uno tsunami abbia travolto i media e scatenato commenti più o meno opportuni.
Un paio di pirla hanno offeso la ragazza, che e' "sbroccata" e per proteggerla si e' montato il caso.
Che dire... per fortuna ho scritto che non ero testimone oculare della cosa :-)
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