19 agosto 2008

C'è un giudice a Rabat?

La famiglia Brambilla non sembrerebbe in vacanza.
Lo leggo su "Il Giornale" dove l'ex direttore de "La provincia di Como" ed attuale vicedirettore del quotidiano berlusconiano Michele Brambilla, scrive oggi un articolo che se non fosse completamente fuori bersaglio sarebbe quasi gradevole.
Il titolo recita "C'è un giudice a Rabat".
Lo svolgimento del temino sostiene in estrema e brutalizzante sintesi questa tesi: "per fortuna in Marocco operano giudici severi, capaci di castigare i presunti terroristi in tempi utili. Non come a Milano dove gli stessi imputati vengono assolti, non perché provati innocenti, ma soltanto per non aver ottenuto le rogatorie richieste in tempi utili!".
Quasi condivisibile il Brambilla-pensiero, anche se io continuerò più volentieri a sottopormi al giudizio della magistratura comasca piuttosto che a quella del paese africano.

Quello che l'articolista però non sa, o finge di non sapere, è che i lacci alla magistratura li ha stretti proprio un governo presieduto dal suo datore di lavoro con specifica legge sulle rogatorie creata ad hoc per fermarne alcune svizzere e caraibiche che avrebbero potuto nuocere non poco al Principale.
Una di quelle regolette che i comunisti bollavano come ad personam, ma che invece, come scriveva sullo stesso quotidiano un suo predecessore, il senatore Guzzanti, ai tempi vice direttore de "il Giornale" e firmatario della legge, sono state create a tutela della comune libertà contro l'accanimento giudiziario.
Ipocrita? Disinformato?
O forse sono le carte bollate che come gli individui assumono luce diversa quando arrivano dall'algida Berna o dalla soffocante Rabat?

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