30 maggio 2008

Dry food


Chi mi conosce sa che sono una buona forchetta. E pure poco schizzinoso.
Non ai livelli di uno strano personaggio che ho intravisto su una tv satellitare intento a mangiare 'le peggio cose' pur di provocare brividi ai telespettatori.
Diciamo che la mia curiosità mi porta a sperimentare e generalmente nei miei viaggi per il mondo non sono solito rifugiarmi in ristoranti italiani (eccezione alla regola Modesto's di KL che consiglio a chiunque naufraghi in Malesia).

L'Asia però... va assaggiata con cautela. Il mio probelma sono le spezie. Non la qualità, ma la quantità. Qui si eccede.

Immagino sia una precauzione nata nel tempo per 'resuscitare' cibi che in climi caldi e umidi tipici di queste terre deperivano alla velocità della luce. E magari disinfettarli.

Oggi però anche loro hanno i frigoriferi. Quindi potrebbero darsi una regolata.

Il mio mantra di sopravvivenza è quindi diventato 'dry food'. Ho sperimentato che i pericoli maggiori si nascondono nei brodini, gli intingoli, le salse. Quindi che tu scelga l'onnipresente pollo con riso fritto, o i noodles mischiati a qualsiasi pietanza ritenuta commestibile in Cina, se come me poni un limite all'esotismo ti consiglio di restare sui cibi asciutti, forse meno appetitosi, sicuramente meno pericolosi.

In agguato nei brodini che siano malesi, indonesiani, cinesi o altro ti aspettano pattuglie di zenzero inacidito, tempeste di pepe, chili atomico, coriandolo più che a carnevale.


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